Tags

, , , , , , , , , , ,

http://it.images.search.yahoo.com/images/view;_ylt=Az_6xdi2zHtTXx4Ayl0dDQx.;_ylu=X3oDMTIyNmZncm1tBHNlYwNzcgRzbGsDaW1nBG9pZAM0NmI1MzNlZDc2MzMwNGM3OGYzOTk2YjdiMGE0OTViOARncG9zAzgEaXQDYmluZw--?back=http%3A%2F%2Fit.images.search.yahoo.com%2Fyhs%2Fsearch%3Fp%3Dstati%2Buniti%2Bd%2527europa%26hsimp%3Dyhs-selfserve_521b64ebae6da272%26hspart%3DEcosia%26tab%3Dorganic%26ri%3D8&w=1024&h=768&imgurl=www.imille.org%2Fwp-content%2Fuploads%2Feurope1.jpg&rurl=http%3A%2F%2Fwww.imille.org%2F2011%2F05%2Fstati-uniti-d%25E2%2580%2599europa-il-nodo-della-partecipazione-democratica%2F&size=575.3KB&name=%3Cb%3EStati+Uniti+%3C%2Fb%3Ed’Europa.+Il+nodo+della+partecipazione+democratica&p=stati+uniti+d%27europa&oid=46b533ed763304c78f3996b7b0a495b8&fr2=&fr=&tt=%3Cb%3EStati+Uniti+%3C%2Fb%3Ed’Europa.+Il+nodo+della+partecipazione+democratica&b=0&ni=160&no=8&ts=&tab=organic&sigr=1347hq5u7&sigb=149dlr0v9&sigi=11dlt8tv6&sigt=1278va38f&sign=1278va38f&.crumb=ghrHNAYfWHG&hsimp=yhs-selfserve_521b64ebae6da272&hspart=Ecosia

Sono passati poco più di sessant’anni dal Trattato di Parigi con il quale, con lungimirante previsione, i leader dei paesi europei uscenti dalle tragiche guerre mondiali gettavano le basi per un primo progetto di Europa unita. Paesi storicamente divisi e fino a qualche anno prima acerrimi nemici inauguravano un progetto fino ad allora mai tentato: unirsi nella diversità, nella convinzione che una maggiore integrazione avrebbe impedito il germogliare di nuovi nazionalismi e di ambizioni totalitarie, sulle macerie di quello che restava del Vecchio Continente.

Sono passati poco più di sessant’anni, nel tempo a quei sei temerari Paesi se ne sono aggiunti ventidue altri, tutti inizialmente affascinati dalle grandi possibilità economiche che quel mercato unito sembrava poter garantire, ma via via dall’integrazione, dalla condivisione delle politiche nazionali si è capito che di quell’Europa sarebbe potuto essere molto di più. Gli Stati Uniti d’Europa, la patria europea intesa non nel suo senso tradizionale, di nazione, di un unicum culturale, bensì la sua esatta antitesi: l’unione nella diversità, nella pluralità di idee, esperienze, lingue, etnie, religioni. La diversità come occasione di arricchimento, l’esempio pratico forse più rivoluzionario e anticipatore della società globalizzata che a cavallo del secondo e terzo millennio avrebbe inaugurato un mondo radicalmente nuovo, costantemente connesso e interdipendente, in maniere che fino a qualche decade fa sarebbero state impensabili.

Sono passati poco più di sessant’anni, alla patria europea si è sostituita l’idea di Europa delle patrie, il concetto più antico e inadatto a governare le dinamiche di una società mondiale in cui l’Europa possa trovare un suo slancio di fronte al risveglio dei giganti mondiali, della Cina, dell’India, della Russia e del Brasile. Miliardi di persone, territori sconfinati in cui la goccia europea si perde in mari dalle storie antiche e dalle gloriose ambizioni. Un’Europa incapace di cogliere l’avanzare di nuove realtà globali, di vite, di storie che dopo secoli di oscurità, di dover guardare da colonia all’Europa dei colonizzatori, hanno trovato ora la forza e l’unità per rilanciarsi nel panorama internazionale in cui vogliono legittimamente poter dire la loro. Così che mentre in Siria continua la sanguinosa repressione dei ribelli, l’Europa resta a guardare timorosa di dover superare il veto russo e cinese. La Crimea, pezzo di Ucraina che proprio nella sua voglia di aderire al progetto europeo aveva messo a ferro e fuoco Kiev, passa nelle mani della Russia, antico padrone mai dimenticato, e davanti il quale le deboli istituzioni europee balbettano un timido dietrofront.

Sono passati poco più di sessant’anni e domenica si eleggerà nuovamente la composizione del Parlamento europeo. In Italia, uno di quei sei temerari che nel 1951 diede vita al primo progetto di Europa unita, si presenteranno una serie di liste, quasi tutte unite da intenti volti a chiedere meno Europa, a favore di maggiori politiche nazionali. Nell’era della globalizzazione, dell’interconnessione, di un mondo che non dorme mai, il Vecchio Continente vive ancora di ricordi. Di quando, da solo, dominava il pianeta. Di quando i suoi esploratori partivano dalle coste in cerca di terre inesplorate, di risorse da depredare, di terre e civiltà da colonizzare. Occhi antichi, sponde sicure per affrontare un incerto futuro. Eppure quell’idea di uno Stato Europeo ancora vive, la speranza è che a partire da questa domenica si trovi la forza per tornare a costruirlo.